Leggere questo libro è stato un privilegio.
È un libro d’amore. La storia di una famiglia di origine africana, ma non secondo i canoni occidentali, quelli che siamo abituati a conoscere dai mass media; la scrittrice ha coniato una parola, Afropolitan, per definire i giovani africani colti, creativi, cresciuti in Europa o in America che sono cittadini del mondo; sentono propria la cultura dell’Africa tanto quella dell’Occidente.
Taiye Selasi oltre che scrittrice è una fotografa. Nata a Londra, ma cresciuta a Boston (Massachusetts) in una famiglia di accademici. Ha una sorella gemella di nome Yetsa. La madre è una pediatra nigeriana nativa yoruba, mentre il padre è un chirurgo ghanese di etnia ewe. Si è laureata summa cum laude presso l'Università di Yale, per poi continuare gli studi in Inghilterra studiando Relazioni Internazionali all'Università di Oxford. Ha inoltre seguito un laboratorio di sceneggiatura alla Columbia University.
Nel libro vi sono degli elementi autobiografici ma sono la superficie del racconto, spunti, per poi sviluppare una trama di fantasia che analizzasse i rapporti di una famiglia disciolta e poi riunita.
Kweku muore scalzo, una domenica all’alba, le pantofole all’uscio della camera, come cani. Inizia così, con la morte del padre di famiglia, il libro. Uno dei migliori chirurghi del mondo, ghanese, morto nel giardino della sua casa, che tempo fa disegnò lui stesso, su un tovagliolo e che fece costruire da un settantenne ghanese con la cataratta.
Kweku era stato licenziato senza giusta causa, dopo la morte di una donna che lui aveva operato, appartenente a una famiglia potente, che finanziava l’ospedale, dove lui lavorava. Si doveva trovare un capro espiatorio e i vertici dirigenziali dell’ospedale lo individuarono in Kweku.
Per diversi mesi, non accettando il licenziamento, si rivolse a uno studio legale, ma anche se era chiara la pretestuosità del licenziamento, non vi era possibilità di vincere la causa. Kweku ogni mattina usciva da casa con il camice bianco, salutava la famiglia e andava all’università, per trovare sui libri qualche appiglio che potesse ritornargli utile, senza dire nulla alla moglie Fola, nigeriana, che aveva lasciato gli studi in legge, per contribuire al sogno del marito, nulla ai figli.
C’era «lui», che ogni giorno si sforzava di recitare la sua parte del Capofamiglia, e Fola nella parte della Casalinga di un Felice Sobborgo, e Olu nel ruolo del Primogenito amato e pignolo; e poi l’Artista, dotato, goffo; e poi la Piccola. E infine lei. Taiwo e Kehinde ibeji (i gemelli): sono metà di un solo spirito troppo grande per essere contenuto in un solo corpo… Il primo gemello, Taiyewo (dallo yoruba to aiye wo, «vedere e assaggiare il mondo», abbreviato in Taiye o Taiwo) lascia docilmente l’utero e parte per la sua missione di ricognizione. Trova il mondo di suo gradimento e decide di rimanere. Kehinde (dallo yoruba kehin de, «arrivare dopo»), vedendo che la sua metà non torna, si appresta senza fretta a raggiungere il suo Taiyewo, degnandosi di assumere una forma umana.
Il libro, il cui titolo originale “Ghana Must Go” si riferisce alle deportazioni sommarie del governo nigeriano nell’inverno del 1983, quando circa due milioni di ghanesi furono espulsi. È il primo romanzo della scrittrice, anche se aveva pubblicato, sulla rivista Granta, i racconti non-fiction The Sex Lives of African Girls e Driver, e perciò inserita nella lista dei miglior giovani scrittori britannici, attirando l'attenzione e l'ammirazione di illustri colleghi, come Salman Rushdie e Toni Morrison.
La bellezza delle cose fragili di Taiye Selasi
Traduzione: Federica Aceto
Editore: Einaudi
Collana: Supercoralli
Anno di pubblicazione: 2013
Pagine: 328
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