Su quattro nonni, due non li ho conosciuti. Non ci si rende conto del tesoro che può rappresentare il racconto di un nonno. Parole ascoltate con distrazione, che con il tempo, quando ormai non c’è più, ritornano, le senti nell’aria, scuotono dal torpore. Parole pesanti, perché cariche di vissuto, e che sembrano lontane ma per quanto lo siano, nei tempi e nei luoghi, la vita è sempre uguale e le cose importanti sono sempre le stesse.
Simone era nato il 5 settembre del 1938 quando in Italia venivano promulgate le leggi razziali. La sua era stata un’adolescenza da fantasma. Appena nato, insieme alla famiglia, dovettero rifugiarsi in Francia. Il ritorno in Italia, a Colle Ferro, fu un nascondersi, da chiunque, per il terrore di essere catturati. Lì aveva conosciuto la morte e lì ormai anziano era ritornato, per uccidersi. Ma nell’estate del 1999 sua figlia Agata, che non rivedeva da nove anni, gli affida il nipote, Zeno.
Un nonno e un nipote, due sguardi uguali. «Solo la direzione era diversa. Io mi perdevo nel futuro. Lui in ciò che era stato». Dice Zeno.
Da un lato, il ricordo dell’estate nel racconto di Zeno, da adulto, autore di fumetti di successo, e dall’altro, la storia del nonno, conosciuta attraverso un quaderno ritrovato dal nipote. È questa la struttura narrativa che ha scelto Fabio Geda per scrivere il romanzo (Dalai editore), che nasce dalla Storia, quella vera, di Franco Debenedetti Teglio nato negli anni Trenta, che ha passato infanzia e gioventù a scappare dai nazisti.
Una storia che narra del confronto tra generazioni, di perdite: di persone care, di affetti, di luoghi e d’identità. Ma anche di speranza.
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