Nel romanzo (Einaudi – Stile libero Big), solo 80 pagine, che si leggono velocemente, c’è un bambino, il suo nome è Tochtli, vive in una villa che chiama palazzo, insieme al padre. Non ha la mamma. Non può uscire e conosce 14 o 15 persone. Nel parco che circonda la villa ci sono anche delle gabbie, dove sono tenute una tigre e un leone. Nella villa ci sono diverse stanze e alcune sono vuote, cioè non ci vive nessuno, sono piene di armi, più di mille, prodotte in tutto il mondo e, c’è anche un bazooka. Il padre Yolcaut, narcotrafficante, non gli nasconde quasi nulla della sua attività, delle efferatezze che compie lui e le guardie. Il bambino vive immerso in una realtà di malaffare lontano dal mondo esterno; si annoia e quindi colleziona parole ma anche cappelli e animali esotici.
Il titolo non promette ciò che lascia intendere, mi ha spiazzato, così come mi ha disorientato la modalità scelta da Villalobos di raccontare; utilizza la prima persona di un bambino, che candidamente, come se ci raccontasse una favola, descrive: gente fatta a pezzi, teste mozzate, il traffico di cocaina, le prostitute che frequentano la villa e che si appartano (misteriosamente) con il padre.
Leggendo non ci si rende conto dell’orrore che quelle pagine narrano; il male è raccontato in modo candido. Dopo averlo letto l’ebook, ho una sensazione strana. Possibile che la forma può distogliere così tanto dalla sostanza e far apparire l’orrore come se fosse una favola? E se accade ciò quanto tempo passa prima che ci si rende conto che c’è qualcosa che non va? E forse ciò che è accaduto nel periodo più buio per l’umanità, nella seconda guerra mondiale, in particolare in Italia e in Germania; quante persone sapevano dell’olocausto ma non si rendevano conto di ciò che stavano vivendo? «Nei libri non si trovano le cose del presente, solo quelle del passato e quelle del futuro. Questo è un grande difetto dei libri. Qualcuno dovrebbe inventare un libro che ti dice cosa sta succedendo in questo momento, mentre leggi. Dev’essere più difficile dei libri futuristi che prevedono il futuro. Per questo non esiste.»
Il bambino che collezionava parole è stato accolto da subito con favore presso la critica è diventato un caso internazionale. In Inghilterra è stato selezionato per il premio Guardian Prize e viene considerato come l’opera prima più interessante di un autore esordiente.
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